Di voci e ricerca
di Matteo Mannocci
Sabato 9 Novembre ho assistito all'Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone di Roma a un concerto dell'ensemble vocale tedesco Neue Vocalsolisten, all'interno del festival romano "Romaeuropa". Dal momento che ho visto il loro nome in programma con un concerto 'A Cappella' ho subito avuto un forte senso di eccitazione per un'occasione non comune per assistere a un'esibizione di un gruppo che, negli ormai quaranta anni di attività, ha acquisito lo status di leggenda per l'eccellenza delle sue esecuzioni e per un repertorio che li ha portati a spaziare nella tradizione della musica vocale dai madrigali di Carlo Gesualdo ai più moderni compositori. Proprio quest'anno hanno accompagnato Alessandro Bosetti per il suo "Portraits de voix" uscito su Kohlaas (a detta di chi scrive, uno dei dischi più belli e intensi di questo 2024). In quell'occasione, una formazione di cinque elementi dell’ensemble aveva eseguito una serie di 'madrigali contemporanei' che si intrecciavano con i ritratti vocali elaborati da Bosetti, confermando la versatilità e l’unicissima capacità dell’ensemble di reinventare antiche forme musicali per il pubblico di oggi.
Ciò che distingue i Neue Vocalsolisten è la loro abilità nel navigare un repertorio che abbraccia quasi un millennio di musica, collaborando costantemente con compositori contemporanei ed emergenti. La loro padronanza delle tecniche vocali estese, unite a un uso strumentale della voce, rende ogni loro performance un evento unico e irripetibile, capace di plasmare il pensiero musicale contemporaneo tanto quanto di portare in scena un'idea di musica che travalica i confini tra tradizione e avanguardia.
Per il concerto avvenuto nel Teatro Studio Borgna l'ensemble di Stoccarda ha portato in scena quattro brani di compositori borsisti dell'Accademia Tedesca Roma Villa Massimo - Ondrej Adámek, Oscar Bianchi, Carola Bauckholt e Gordon Kampe- alternandosi tra sei e quattro voci non amplificate, strumenti, oggetti e giradischi. Come ci si poteva aspettare, l’esecuzione è stata impeccabile, con una precisione chirurgica che ha permesso ai suoni di riempire lo spazio, trasformando il concerto in un’esperienza avvolgente. Il pubblico non era di fronte a uno spettacolo meramente frontale, bensì a un’esperienza immersiva che coinvolgeva tutti i presenti, generando un senso di partecipazione collettiva.
Il brano di apertura, composto da Ondrej Adámek, ha visto i sei cantori attraversare l’intero spazio scenico, partendo dal fondo della sala e muovendosi tra il pubblico, lanciando oggetti come pietre e tubi di forassite. Questo gesto, oltre a dimostrare la padronanza dell’ensemble nell’integrare elementi performativi, ha sottolineato l’approccio multidimensionale al suono e alla teatralità. Il pezzo successivo, 'Ante Litteram' di Oscar Bianchi, ha riportato la sala a un’atmosfera più tradizionale, seppur intrisa di una tensione novecentesca, rivelando una delicatezza e un rigore che hanno evidenziato la capacità dell'ensemble di passare agevolmente da momenti di grande energia a sezioni più dedicate all'esplorazione dei suoni vocali.
La sorpresa maggiore è stata la leggerezza con cui i Neue Vocalsolisten hanno affrontato partiture complesse e impegnative. Mi sono chiesto, durante l’ascolto: è davvero possibile coniugare una scrittura sperimentale e una precisione esecutiva con un approccio quasi giocoso? La risposta è stata un sonoro sì, con buona pace dei puristi che potrebbero storcere il naso di fronte a un’interpretazione così libera e non convenzionale della musica contemporanea.
Abituato alla scarsa programmazione di musica scritta contemporanea della mia regione, questa pur breve -sempre troppo breve- immersione in un'esplorazione totale del suono acustico (ma non solo, come dimostrato dal brano di Gordon Kampe per voci e turntable in cui i sei vocalist si sono pure cimentati con dei momenti di scratch) ha reso questa serata ancora più preziosa. L’esplorazione dei Neue Vocalsolisten è stata una boccata d’aria fresca, una dimostrazione che si può cercare e innovare senza restare intrappolati nelle convenzioni imposte da una tradizione ingessata, slegandosi dalle catene della serissima tradizione monopolizzata da Stockhausen e derivati, battendo le strade dell'accademia senza farsi divorare da essa. Che sollievo!
Invenzioni sonore, in cui le possibilità vocali dei vari registri spaziano espandendo e mescolando ancora di più i vari output sperimentati in mezzo secolo di ricerca sulla musica vocale, e in cui il cantante non relegato al 'semplice' ruolo di voce quanto di performer completo, incarnando alla perfezione il modello di chi oggi si mette alla prova nella ricerca vocale.
A margine di questa breve recensione, a cui abbiamo voluto dare spazio per presentare un ensemble fondamentale a chi non lo conoscesse, vorrei aggiungere una piccolissima riflessione sulla salute della musica di ricerca italiana. Non tanto sui suoi protagonisti, che non mancano e spesso presentano lavori di assoluto livello. E proprio per questo come è possibile che si avverta una distanza così grande tra gli interessati alle pratiche musicali alle esperienze più di ricerca, o addirittura all'interno della stessa comunità tra quelle che derivano più direttamente dalla tradizione e quelle più 'di rottura'? Oltre al circuito dei teatri di tradizione, ormai impantanati in una spirale conservativa che forse li accompagnerà fino alla loro fine -a spese dei contribuenti e di tutte le realtà che si vedono ogni ciclo sempre meno fondi arrivare dal FUS- in che modo è possibile avvicinare chi già frequenta concerti di timidi emulatori di performer di questo tipo? E perché, soprattutto, la stragrande maggioranza dei festival italiani si ostinano a ritirare fuori i soliti nomi di agenzia, livellando verso il basso una proposta che già per numeri, infrastrutture ed economie non può certo rivaleggiare con i più grandi festival europei, per qualità e varietà della proposta?
Per tutte le associazioni, festival e collettivi che si ostinano a fare proposte inedite, di qualità e ricerca fuori dai circuiti commerciali delle solite agenzie -i cui artisti possiamo comunque vedere con piacere in contesti più ampi, come succede nei festival europei- grazie di resistere e credere in questa scommessa a perdere che è l'organizzazione musicale in Italia. E per tutti l'appello è di sforzarsi, cercare, muoversi per affollare i luoghi di spettacolo con una proposta fuori dagli schemi e delle solite scelte estetizzanti e instagram-friendly, anche passando sopra a scomodità o glissando quando possibile sulle criticità organizzative (che anche a Roma hanno offerto dei momenti quasi di imbarazzo e pesanti mancanze, ma chiuderemo un occhio). Oppure si parlerà di ricerca musicale solo per annunci controversi, creando polarizzazioni e tirando fuori da mandrie di commentatori che spesso nemmeno hanno a che fare con la sperimentazione retoriche più adatte a un elettorato di una certa destra. E la musica, come al solito, rimane nascosta sotto al tappeto.
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IL DISCO DEL MESE
Able Noise - High Tide (World of Echo)
Gli Able Noise sono un duo transcontinentale composto da George Knegtel e Alex Andropoulos autori di un'esperienza musicale singolare che si muove tra l'Aia e Atene. Sviluppatesi come una band dal vivo, i due musicisti hanno esplorato i confini della performance live, arrivando al loro primo lavoro in studio, High Tide, che segna un'evoluzione significativa rispetto alle esibizioni, grazie all’uso di tecniche di post-produzione e sovraincisione che ampliano le possibilità sonore. Il risultato è un album impressionistico e senza struttura tradizionale, caratterizzato da un'atmosfera dilatata e frammentata che affascina l'ascoltatore con la sua complessità sfuggente. Tra il rock e l’improvvisazione elettroacustica, un disco sorprendente che riesce a non dare certezze agli ascoltatori e uno dei debutti migliori del 2024.
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UMIDO - Edificio abitativo n1. Suoni arcologici
di Pietro Michi
I Presupposti dell’edificio abitativo n1 (EA1)
Questo progetto edilizio trae ispirazione dalla Begich Tower, un condominio unico situato a Whittier, in Alaska, e dal concetto di arcologia. La Begich Tower è una struttura originariamente progettata come base militare dall’ingegnere Anton Anderson, ma, in seguito a un violento maremoto e al ritiro degli occupanti militari, è stata trasformata in un condominio capace di ospitare l'intera popolazione di Whittier, che conta poco più di 200 abitanti.
Gli abitanti possono trascorrere la loro vita interamente all'interno dell’edificio, dove trovano tutto il necessario: ristoranti, scuole, un supermercato, una chiesa e altri servizi essenziali, permettendo così una vita pressoché autosufficiente. Questa configurazione rende la Begich Tower un esempio pratico di arcologia, ossia un concetto architettonico ed ecologico che integra vita e servizi in un’unica struttura. Strutture di questo genere fanno parte dell’immaginario fantascientifico da decenni, spesso rappresentate come una risposta alla sovrappopolazione e al degrado degli ecosistemi avvelenati. Vengono rappresentati come ambienti urbani auto-sostenibili, in un certo senso simili ad “allevamenti intensivi” per la vita umana, in cui l’intera vita si svolge all'interno di un sistema chiuso e interconnesso. Numerosi progetti di questo tipo sono stati realizzati, immaginati o disegnati nel corso degli anni, navigando tra gli scenari contemporanei, cyberpunk e solarpunk. Per il nostro progetto, tuttavia, ci bastano i presupposti di base e l’ispirazione offerta dall’esempio della Begich Tower.
Il progetto EA1
L’edificio si sviluppa verticalmente, con vari spazi abitativi e tutto il necessario per la sopravvivenza al suo interno: ampi orti su grandi terrazze, un centro tecnologico sotterraneo con laboratori, e molto altro. I piani inferiori ospitano le residenze, mentre quelli superiori offrono attività commerciali, servizi e spazi ricreativi. Il nucleo abitativo è più largo di quello della Begich Tower, potendo ospitare circa mille persone. L’edificio è situato all’interno di una foresta pluviale temperata, con un clima subartico, caratteristiche della stessa zona specifica di Whittier.
L’interno della struttura, così come l’esterno per i primi duecento metri di distanza, presenta dei piccoli microfoni, grandi quanto un tappo di bottiglia, distribuiti in almeno 3000 punti. Ecco una versione rielaborata della frase per migliorarne la scorrevolezza: Ogni microfono registra costantemente i suoni dell’ambiente circostante e, in alcune aree, è possibile ascoltarli in tempo reale tramite apposite cuffie, selezionando uno o più microfoni. Tutti gli abitanti dispongono della mappa dei microfoni e sono pienamente coscienti di come funzionano e dove sono i punti di registrazione e ascolto.
L’interconnessione tra il bioma circostante, la struttura urbana ridotta all’essenziale e gli ambienti dell’edificio genera una composizione sonora unica. L’edificio abitativo n1 è predisposto per creare nuovi contatti sonori tra le persone: i residenti possono dialogare attraverso registrazioni o suoni captati in diretta da ogni punto della struttura, rielaborare le registrazioni o catturare i suoni dell’ambiente nelle immediate vicinanze dell’edificio. Tale configurazione crea un contesto abitativo dove architettura, ecologia e arte sonora si fondono, predisponendo una comunità a creare nuove connessioni e nuovi tipi di dialogo e di espressione sonora collettiva.