Newsletter#001
Dalle ceneri del futuro
di Matteo Mannocci
Con l’inizio del nuovo anno comincia l’avventura di GOLEM, contenitore di esperienze e di novità dal mondo della musica e dell’arte.
Procederemo venendovi a trovare direttamente nella casella mail di chi vorrà sostenere questo progetto, proponendosi come luogo di scambio e confronto con chi opera nelle proprie realtà territoriali o chi sente il bisogno di elaborare riflessioni su temi comuni. Non una rivista, né una fanzine, quanto un archivio in fieri di esperienze passate e presenti riportate da chi attivamente vive il nostro tessuto artistico e culturale.
Un progetto con il quale cercheremo di intercettare e decifrare il presente, il nostro “ora”, ma con uno sguardo sempre attento a un “prima” quantomai ricco di insegnamenti e spunti di riflessione. Di fatto, crediamo che comprendere ciò che viviamo nel quotidiano significa anche ripercorrere a ritroso certe strade che, pur se già battute in passato, ci permettono di osservare con occhi nuovi quel panorama in continuo movimento che fa da sfondo alla contemporaneità.
Ebbene, il caso vuole che proprio 110 anni fa, a Milano, il pittore futurista Luigi Russolo scrivesse un documento che oggi suona per l’appunto profetico, anche spogliato della sua carica eversiva e avanguardista: il manifesto del rumorismo “L’arte dei rumori”. Concepito in forma di lettera al musicista Francesco Balilla Pratella, il pamphlet esponeva agli artisti futuristi e, oggi, a noi lettori una nuova concezione del suono non più basata su composizioni che «recano subito all’orecchio la noia del già udito», quanto piuttosto su un nuovo sistema che, grazie all’innovazione tecnica, restituisca all’ascoltatore la sensazione di intendere il mondo nella sua complessità di suoni e rumori, introducendolo così a una gamma di soluzioni timbriche ed espressive mai udite fino a quel momento.
Nella visione di Russolo, è infatti particolarmente interessante l’innovativa composizione dell’ensemble futurista. Dopo aver specificato le famiglie di strumenti dell’orchestra tradizionale, l’autore individua le 6 categorie di rumori che verranno combinati tra loro:
Ora, nonostante l’invenzione degli “Intonarumori” – strumenti perfezionati da Russolo stesso ed esibiti in vari concerti in Italia ed Europa tra il 1913 e il 1922 – è chiaro per noi, a più di un secolo di distanza, vedere nell’irruenza del manifesto uno spirito avanguardista più propenso forse alla totale rottura con le tradizioni che a una fattiva realizzazione in ambito strettamente musicale. In effetti, se già Russolo si fa testimone del fatto che il pubblico dell’Italia prebellica non era assolutamente preparato a manifestazioni del genere* , la difficoltà tecnica di comporre attraverso questo tipo di strumenti – che sì potevano riuscire a intonare le fonti sonore prodotte, ma non a dare quella rosa di possibilità che un’orchestra composita regala all’autore – fu ben presto evidente.
Al di là di simili difficoltà di natura materiale, il discorso intrapreso da Russolo appare però oggi rivoluzionario e premonitore soprattutto quando si pone l’obiettivo di «allargare e arricchire sempre più il campo dei suoni» come quelli ambientali e i rumori prodotti dalle macchine, in quanto sembra rendere conto, ben prima delle guerre mondiali, dello sconvolgimento che subirà il mondo dell’arte nel secondo Novecento. “L’arte dei rumori” non è dunque solo una prima riflessione sul rumorismo, ma anche una fertile riflessione su come il mondo dell’arte stesse già cambiando in maniera drastica, introducendo un’enormità di linguaggi e modi di operare fino al momento sconosciuti o ignorati in maniera simile ma ben più ardita di quanto negli stessi anni stesse combinando Arnold Schönberg .
Anche da qui, insomma, passa il percorso su cui oggi camminiamo, sicuri dei nostri mezzi.
* (dalla testimonianza di Russolo: «La prima esecuzione pubblica dell’orchestra di Intonarumori ebbe luogo la sera del 21 Aprile 1914, al Teatro Dal Verme di Milano. Il pubblico si accalcò, si ammassò nel vastissimo teatro ma non volle udire. Quella folla immensa tumultuava già, rumorosissima, mezz’ora prima che l’esecuzione incominciasse, e i primi proiettili cominciarono a piovere dalle gallerie sul velario ancora chiuso... così che il pubblico non sentì niente, quella sera, perché i rumori, non intonati, preferì farli lui!»)
Decreto Belligeranza Sonica art.23 bis
di DJ Balli
(questo testo è stato presentato a Modena Sobborghi nel novembre 2022)
Il Decreto Belligeranza Sonica a differenza ed in netta opposizione allo spirito totalmente improvvisato e partorito da non addetti ai lavori del 434 bis è forgiato da secoli e secoli di lavoro sul campo. Infatti le prime avvisaglie di free party sono da far risalire al 1500, precisamente all’epidemia del ballo del 1518 (ribattezzata il French-Tek rinascimentale) quando a Strasburgo in Alsazia all’incirca 400 persone causa probabilmente isteria di massa iniziarono a ballare per giorni, e, dopo all’incirca un mese, alcune di loro morirono di attacco cardiaco, ictus o affaticamento. E’ allora che la Belligeranza Sonica (Sacro Graal del breakbeat) ha iniziato ad studiare l’alchimia della trasmutazione del sé attraverso movimenti frenetici e scomposti, eresia poi diffusasi in tutta l’Europa.
Forti di questo approfondimento secolare ci autonominiamo commissione “Rave Artù ed i Cavalieri della Cassa Dritta”, apostoli della Chanson de Ròland (saga 303, 404, 808, 909) ed in questo assetto abbiamo stilato i primi punti di un decreto legge che non sia mera propaganda elettorale di buffoni al Governo che in una contingenza estremamente problematica come quella internazionale di oggi si preoccupano di qualche migliaia di ragazzi che ballano.
Partiamo dunque coi punti dell’art. 23 bis:
- i bpm devono rigorosamente essere sopra il tetto dei 1000, soglia oltre la quale si apre il mondo dell’EXTRATONE, riducendo il numero dei partecipanti ad il nocciolo duro dei die hard. Sopra i 1000 bpm infatti la cassa non è più percepibile, si sente solo un drone concreto, in cui la musica iper-veloce è paradossalmente trasmutata in iper-lenta;
- il beat deve essere assolutamente spezzettato, ipercinetico e distrofico, intrecciando poliritmie dispari che mettano in discussione il primato della concezione occidentale della musica votata a celebrare il suono per la mente, sopra al suono per il corpo. Aprendo il beat all’influenza delle più svariate tradizioni musicali del Sud America, dell’asia, dell’africa e dai più remoti anfratti del pianeta, la ritmica del sound risulterà infinitamente più stimolante del 4/4 zombie/tekno;
- l’eta dei partecipanti all’evento deve essere mixata da anni 0 a 100 anni, sul modello dei party psy-trance che presentano una gamma di fasi vitali non discriminatorio, evitando l’uniformazione da bimbi-tekno. Sempre dalla psy-trance è da mutuare l’importanze creativa della location, elemento attivo del successo dell’inziativa tanto quanto la musica;
- la risoluzione del sound si consiglia abbia in certi momenti di apice, un’inclinazione nostalgica nei confronti di tecnologie obsolete, da 8 ad 1 bit;
- i campionamenti vocali presi da brani iper-pop devono essere o rallentati in modo da risultare voci minacciose proveniente da un crepuscolo oscuro (screwed) o velocizzati in maniera derisoria del sound commerciale da cui sono stati campionati dal sapiente bisturi del producer-chirurgo;
- sono da sostenere le eresie soniche più di nicchia, dal drum’n’noise allo speedcore, all’extratone, al ragga-core, all’industrial reggaeton, al dub-core, da rifiutare invece le formule scontate che sembrano dominare, totalmente prive di orginalità e cifra caratteristica, la scena free-party attuale, rendendo la musica da club infinitamente più interessante alle orecchie dei belligeranti sonici;
- è da rifiutare in modo categorico anche il sound definito post-club o deconstructed club che dir si voglia. A questo pappone intellettuale che non fa ballare e non suona innovativo, proponiamo sound che hanno nei fatti decostruito il club a partire dagli anni ‘90 come il breakcore nelle sue varie fasi e mutazioni.
MENO 434 BIS PIU’ TB303!
QUELLO CHE (NON) CI SIAMO PERSI
Prima di lanciarci alla scoperta della musica prodotta in questo nuovo anno, abbiamo deciso di chiedere ad alcuni amici di indicarci il disco che, per un motivo o per l’altro, si porterà dietro dal 2022. Scelte personali che delineano come esistano innumerevoli percorsi da approfondire, senza omologarsi ai soliti listoni pubblicitari in attesa dei festival estivi. Clicka sulla cover per aprire il disco. Buon ascolto!
Presa per i fondelli o capolavoro il confine è labile anche solo per il titolo dell’album. Disco [quasi] perfetto per Rat Heart AKA Tom Boogizm uscito sulla sua Shotta Tapes a Luglio 2022 e che fa paio con “A Blues”, altro disco partorito da Boogizm lo scorso anno; perfetto non a livello di sound design o chissà quale pippa concettuale ma perché è bello dalla prima all’ultima traccia club punk sperimentale sentiteci quello che volete. Disco da ascolto e da ballo. Ascoltate e tenete d’occhio Tom Boogizm. (DPK800; GOLEM, Fango Radio, PHASE)
17 minuti per assaporare un ottimo frullato di elettroacustica contemporanea. (Federico Fiori, NUB Project Space, Fango Radio, PHASE)
Un disco intimo e contenuto, scolpito da gesti pesati che per me rappresentano il suono di Stoccolma, dove ho vissuto e studiato 10 anni fa. (Riccardo La Foresta; sound artist, NODE Festival)
Nessuno avrebbe mai immaginato fino a pochi anni fa che una giovane artista catalana potesse diventare la voce del pop più ambita e trasversale, con estimatori tra i guru della produzione, ascoltatori mainstream e ascoltatori più underground. Rosalia ha compiuto un miracolo e "Motomami" è la sua consacrazione. (Piero Merola; Kalporz, La Voce di New York)
Sembra che l’entusiasmo nei confronti di certi suoni iper-futuristici e innovativi sia un po’ affievolito da qualche anno. Se sia un bene o un male è troppo difficile dirlo in questi anni. Impossibile capire ora verso quale direzione sono proiettati i suoni del futuro. E allora perché farsi troppe domande? Molto meglio godersi la bontà di un disco che ha un imprinting più classico delle ultime tendenze americane, londinesi e berlinesi, ma che sicuramente restituisce un’idea molto più nitida sul contemporaneo di alcune recenti uscite di PAN e soci. Tra fughe sintetiche e viaggi che ricordano i Boards of Canada, Acrobatic Thought è un posto dove rifugiarsi se si ha voglia di ritrovare il calore della melodia. “Storme” pezzo della vita. (Riccardo Papacci; DROGA Magazine)
Il mio disco dell’anno è “A coincidence is perfect, intimate attunement” (Second Editions, novembre 2022), secondo disco nato dalla collaborazione tra la compositrice finlandese-svedese Marja Ahti e la violoncellista australiana Judith Hamann. Il lavoro è frutto di uno scambio di e-mail e registrazioni tra le due artiste, intercorso tra il 2020 e il 2022. Un’immersione in mondi sonori ricchi di dettagli, sorprese, sospensioni, da ascoltare tutta in un fiato. (Luisa Santacesaria; Blutwurst, musicaelettronica.it)
UMIDO
Field Recordings aka Registrazioni Di Campo
di Pietro Michi
La registrazione di SUONI, la fonografia, ovvero la pratica grazie alla quale il suono viene impresso in un formato riproducibile, nasce nel ‘900 raggiungendo una sua dimensione più “user friendly” nella seconda metà del secolo.
La pratica si è incastonata negli utilizzi più comuni dell’arte e della scienza umana, dai film ai reportage naturalistici, arrivando al suo picco di visibilità in video come “3 HOURS of GENTLE NIGHT RAIN, Rain Sounds to Sleep, Study, Relax ecc.” che attualmente vede 177 milioni di riproduzioni su YouTube.
Con il tempo la pratica sbarca anche nel mondo delle produzioni musicali in maniera sempre più eclatante e smodata: a oggi l’utilizzo dei suoni concreti nella musica pop è ormai imprescindibile, mentre il puro Field Recording è rilegato spesso a sottofondo sonoro o pratica di rilassamento, un allegato per beni di consumo. Prodotti sonori dalla funzione evocativa, che non lasciano però spazio a una dimensione di dignità d’ascolto.
Ma l’uomo tende sempre l’orecchio verso il suono, in attesa di udire un richiamo o un pericolo da cui scappare, naturalmente attento ai suoni. Questo testo vuole essere un invito ad avvicinarsi all’ascolto della composizione sonora con i suoni ambientali, dei paesaggi sonori o di tutte quelle forma d’arte che sono messe su un piedistallo e collocate tra gli ascolti “colti”. La non-musica fa infatti parte del nostro naturale, non una parte ma il tutto.
Cinque suoni impressionati:
Old Skool Field: Hildegard Westerkamp – Trasformation (1996)
Geothermal Field: Jacob Kirkegaard - Eldfjall (2005)
Post Internet Fake Field: Luigi Monteanni – Om Telolet Om (2017)
Digitalized Nature Field: Various Artists – 15 Soundscapes (2021)
Archieve Field: KMRU – Temporary Stored (2022)
RISCIACQUO
di Jacopo Buono
Come prima selezione, più che concentrarmi sul lavoro intero di un’artista mi sono soffermato su un’operazione avvenuta recentemente, di cui forse avrete letto qualcosa, un’operazione che ogni artista con un minimo di materia grigia e con un minimo di senso critico socio-artistico dovrebbe fare se gli capitasse l’occasione.
L’artista in questione è Jens Haaning, un’artista danese concettuale neanche più giovanissimo che vive e lavora a Copenaghen. Jens ha da sempre lavorato fin dagli anni ’90 con lavori che esprimessero un acuto riflesso, spesso ironico e provocatorio, della nostra complessa società occidentale, con tutti i meccanismi folli che spesso tale società offre con il passare del tempo: migrazione, nazionalismo e vari.
Lo scorso anno ha ideato un’operazione dal titolo “Take the Money and Run”. Il Kunsten Museum of Modern Art in Danimarca ha donato a Jens la somma in denaro di $84,000 (532.549 corone danesi) per creare altre versioni di un’altra sua precedente lavoro in cui aveva incollato, su tutta la superficie dei quadri, delle banconote, per evidenziare la differenza del reddito annuale medio tra i lavoratori austriaci e quelli danesi, incollando quindi svariati Euro e svariate Corone.
A differenza di quel lavoro, Jens tornò un mese dopo nelle sale del museo per consegnargli due tele completamente bianche e quindi vuote, dichiarando che “the work is that I have taken their money” e andando via come se nulla fosse. Il museo ha chiesto a Jens di restituire il denaro prestato per la riproduzione degli altri lavori precedenti e, a sua volta, si è sentito rispondere dall’autore: “This is only a piece of art if I don't return the money”.
Il Museo Kunsten ha dato ad Haaning tempo fino al 16 gennaio per restituire i fondi e, in seguito al suo mancato rispetto, ha confermato che intraprenderà un'azione legale.
Nel frattempo il museo ha dichiarato giustificandosi che ha intrapreso una causa legale "perché abbiamo una responsabilità nei confronti delle fondazioni private che sostengono finanziariamente questa mostra per cui è nato quel lavoro, e abbiamo una responsabilità nei confronti dei nostri finanziatori", ha spiegato il direttore del museo, Lasse Andersson. Tuttavia, Andersson ha ammesso che la mostra in cui è apparso il lavoro di Jans è stata un successo ma nonostante questo l’artista rimane ancora fermo sulla sua posizione e il museo, per ora, dice di non volerlo denunciare alla polizia per non far ricadere troppo scandalo sulla struttura stessa.
Rimane il fatto che qualunque artista abbia la possibilità di rubare, sabotare, disinnescare qualsiasi meccanismo legato alle istituzioni o a quei ruoli ambigui nella scala del mondo dell’arte, cercando qualsiasi appiglio concettuale possibile affinché non risulti un’azione scellerata e vista a posteriori come negativa. Visto che ormai il confine tra arte e vita è diventato labile fin dai meccanismi di diversa arte degli anni ’60/’70, sfruttiamo queste dinamiche per destabilizzare questo mondo che si muove ormai col pilota automatico.